Girando nel web ho trovato un bellissimo servizio fotografico dedicato a Casablanca. Il fotografo è Marco Barbon, il lavoro si chiama appunto Casablanca ed è del 2010. Per me è bellissimo perché mi piace Casablanca e Casablanca mi piace perché ci trovi degli angoli proprio come quelli che ha colto il fotografo che sono fuori dal tempo e sprigionano un’atmosfera così struggente  che quando sei a casa ti prende il  mal d’africa, anche se sei stato a Casablanca. Non mi è possibile mostrare qui gli scatti di Marco Barbon (che vi invito comunque a guardare sul suo sito, www.marcobarbon.com), in ogni caso e non vorrei sbagliare, solo per farvi capire ecco, guardare quelle foto là, è un po’ come guardare i dipinti degli orientalisti. O almeno a me sembra così.

le soir sur les terrasses

Le soir sur les terrasses- J.J. Benjamin Constant 1879, Montreal Museum of Fine Arts, Montreal

Benjamin Constant- Una terrazza in Marocco2

Twilight hours – J.J. Benjamin Constant collezione privata

 

Nelle tele di Jan-Joseph Benjamin Constant ,“le soir sur les terrasses” e “Twilight hours” e nelle foto di Marco Barbon, soprattutto “Casablanca 31”, l’impressione che ho è che ci siano delle analogie: i soggetti prima di tutto, che sono ritratti e ripresi con gli stessi atteggiamenti indolenti del corpo e gli sguardi, quando sono all’orizzonte  carichi di un’attesa che sembra  instancabile e infinita. Più di cent’anni separano il pittore dal fotografo eppure sembrerebbe che in alcuni angoli del Marocco, la vita si viva ancora così. In effetti avete mai fatto caso ai ragazzi seduti per ore e ore ai tavoli di un bar di Casablanca o di Marrakech? Sono lì tutti i giorni, ben pettinati, con la barba fatta e un aroma di profumo contraffatto, sono lì per pochi diram al mese spesso a sorvegliare i residence vicini. Questi giovani uomini che non vogliono venire in occidente, che hanno sorrisi dolci come i frutti maturi, ti lasciano addosso una sensazione di calma e di pace mista di malinconia come i quadri di Jan-Joseph Benjamin Constant, come le foto di Marco Barbon, anche se qui la malinconia  è più struggente.

Così mi sono chiesta cos’è questa malinconia, da dove arriva, come si produce, come la colgo. Ho girato nel web per documentarmi un po’. C’è chi dice che questa malinconia/nostalgia sprigioni dalla sensazione di un Eden ritrovato, altri dall’attrazione per una natura intatta e incontaminata, altri ancora dall’incontro con civiltà primitive fatte di contatti umani veri, c’è chi dice anche che questa malinconia non esista. Non so, capisco e non capisco. Sperando di capirci di più mi sono ricordata di Carl Gustav Jung, che ha viaggiato nell’Africa settentrionale e ha scritto qualcosa a proposito nel suo diario “Ricordi, Sogni, Riflessioni” , { .. quel mondo arabo, apparentemente tanto diverso ed estraneo, risveglia il ricordo remotissimo di un passato ben noto ma che in apparenza abbiamo completamente dimenticato. E’ il ricordo di una possibilità di vita ancora esistente ma che è stata soffocata dalla civiltà.}. Ecco io a dire il vero mi aspettavo da Carl Gustav Jung un po’ più di aiuto ma forse sono io, anzi sicuramente sono io che non capisco esattamente che cos’è questa possibilità di vita, intuisco ma non mi è chiaro.

Io se guardo il dipinto “la sera sulle terrazze” di Jan-Joseph Benjamin Constant  vedo ritratto un gruppo di persone, tre figure femminili e una maschile che si godono semplicemente in terrazza le ore del tramonto, prima della sera. Lo so perché me lo dicono i gesti, un piede nudo che si strofina sull’altro, un corpo allungato sul tepore del cemento della terrazza, una testa reclinata che si gode una spalla, le braccia allargate e il petto sollevato con le labbra dischiuse ad assaporare l’aria del mare e i raggi del sole sulla schiena. Vedo che le ore del tramonto non sono per questa cultura uno spettacolo da vedere, da apprezzare con l’intelletto, ma qualcosa da esperire col corpo. Vedo l’importanza del corpo, che tocca, sente, vede, accoglie le impressioni, le percezioni e nell’accoglierle fa esperienza del mondo, delle cose e degli altri, vedo il corpo come il punto di partenza senza il quale, cito da Umberto Galimberti “Il Corpo” ,{ non c’è intelletto, né anima che possa intendere qualcosa del mondo}. Allora quella nostalgia sarà  perché sentiamo di abitare il mondo con la logica della ragione che ha dimenticato il corpo? E quella possibilità di vita ancora esistente ma soffocata dalla civiltà di cui parla Carl Gustav Jung, starà nel recuperare l’esperienza corporea, nel tornare ad abitare il corpo?